In ogni epoca dell’età moderna alcuni uomini si ispirarono, in molteplici campi del sapere e del vivere, a momenti della storia passata o a tradizioni lontane. Uno degli esempi che preferisco fu il Neoclassicismo, tra la metà del ‘700 e la fine dell’epoca napoleonica, che con il suo interesse per il mondo classico coinvolse architettura, scultura, pittura e letteratura. Tralasciandolo e saltando tutti i passaggi ed i movimenti successivi, approdiamo al XX secolo, più precisamente verso la sua fine.
In quell’epoca fiorì il New Age, fortemente scatenato dall’ondata culturale e di protesta degli anni ’60, anche se si affermò nel mondo occidentale solo dal decennio successivo.
Il movimento vegano con cui inizia il XXI secolo in teoria dovrebbe essere una diramazione del New Age, ma con il passare del tempo – e soprattutto con lo scatenarsi dei social network – la teoria è sempre stata più tale e la pratica ancor meno concreta.
Questo articolo non desidera dare alcun giudizio sulla scelta dello stile di vita vegano, che è qualcosa di personale, bensì vuole piuttosto spiegare da cosa esso ha origine, storicamente e seriamente parlando, sempre che per veganesimo si intenda scelta etica e soprattutto coerente in tutte le sue parti e non “moda del momento per essere più mainstream”.
Intanto, il veganesimo non viene da Vega.
Complottari, affiliati di scientology (che lascio rigorosamente in minuscolo), filo-alieni e simpatizzanti della causa “ridate a Plutone la sua dignità”(*), mi spiace per voi. Il veganesimo è terrestre per nascita, terrestri sono coloro che lo praticano ed ogni appello a non definirvi tali, per differenziarvi da onnivori e vegetariani, va spedito tramite raccomandata su Vega (dove, altrimenti?). Dato che il viaggio di sola andata è di 26 anni-luce, preparatevi ad aspettare un po’ per la risposta.
Nel frattempo rimaniamo sulla Terra e ci permettiamo di fare un salto nel tempo, alla maniera del Doctor. Il primo che chiederà “Doctor Who?” avrà un caffè pagato dalla sottoscritta.
Torniamo indietro ed atterriamo nel VI secolo a.C. nella valle dell’Indo. Curiosamente, siamo all’incirca nello stesso periodo e nella medesima area geografica in cui visse Siddharta Gautama, comunemente conosciuto come il Buddha, mentre dall’altra parte del mondo, nel cuore del Mediterraneo, iniziava l’illuminismo greco con la Sofistica. Uguale momento storico, luoghi diversi, ma entrambi in grado di donare al mondo riflessioni altissime circa l’uomo e la sua essenza. Roba da esclamare “wow!” a gran voce.
Ciò che ci apprestiamo ad incontrare si chiama Giainismo, o Jainismo: una dottrina che è insieme religione, filosofia e stile di vita.
Mahavira fu un nobile che dedicò la propria vita all’ascetismo ed era contemporaneo di Buddha. Fu un grande maestro spirituale indiano ma non è il fondatore del giainismo, il cui nome invece non è noto, tuttavia è l’unico di cui si abbiano fonti storiche certe.
Molti sono i legami che uniscono il gianismo al buddhismo, ecco quali: la considerazione che la vita è sofferenza e che la massima aspirazione per l’essenza individuale sia il Nirvana, raggiungibile solo tramite un’illuminazione. Quest’illuminazione non ha nulla a che fare con il concetto occidentale e l’idea di una qualche rivelazione che cala dall’alto, ma è piuttosto un insieme di consapevolezza raggiunta e di giuste azioni, qualcosa che dunque dipende solamente dall’uomo. Combaciano poi i concetti di karma e trasmigrazione. Il primo si può semplicisticamente riassumere così: è l’agire che sta alla base del principio causa-effetto e che vincola le essenze all’infinito ciclo delle rinascite, che è la trasmigrazione. Ad ogni azione, seppur minima, corrisponde sempre un effetto nel mondo, questo impedisce la liberazione delle “anime” (le virgolette sono d’obbligo e per pura semplificazione, dato che il concetto occidentale di anima è molto differente dall’idea orientale dell’essenza umana); la vita di un uomo dovrebbe quindi orientarsi a generare meno agire possibile, associato ad uno specifico stile di vita.
Fatta la necessaria premessa, passiamo alle conseguenze.
Il gianismo si può sicuramente definire come il movimento che più di ogni altro fece della non-violenza il proprio programma, non-violenza che include anche la pratica del veganesimo.
Ogni vita, animale e vegetale, è considerata sacra: rispettarla quindi, tramite la non-violenza, è un atto necessario per non gravare il proprio karma e per evitare, in una futura trasmigrazione, di ritrovarsi intrappolati in essenze più basse. Concetti come pacifismo, tolleranza, protezione delle creature, mitezza e veganesimo sono alla base dello stile di vita di ogni giainista, ma è nei monaci Jain (sia uomini che donne) che essa è portata allo stato più estremo.
Le mascherine di fronte a naso e bocca non sono una pratica igienica, bensì un’attualizzazione delle norme basilari dei monaci: servono infatti a non respirare o ingoiare per errore minuscoli insetti come ad esempio i moscerini. Sempre nel rispetto di ogni forma di vita, è anche pratica comune camminare con un piccolo scopino davanti a sé, fatto di fili di cotone, per spazzare eventuali insetti che non possono essere calpestati, neppure involontariamente. Ne consegue il veganesimo come pratica alimentare, perché essa segue il principio della non-violenza: nessun derivato di origine animale (niente latte o latticini), non carne o pesce, ma solamente verdura e frutta e nemmeno tutte; quelle in cui è impossibile separare i semi per spargerli e far crescere nuove piante – pensiamo al kiwi o al melograno – non possono essere mangiate. Allo stesso modo non possono essere mangiate quelle creature vegetali per le quali si uccide l’intera pianta, come patate e carote ed altri bulbi in generale.
Dalle pratiche alimentari alla vita in generale: niente elettricità, spostamenti solo a piedi per evitare ogni forma di inquinamento. Poi meditazione e studio dei testi sacri.
Questo per i monaci e le monache Jain. I laici invece, hanno il compito di vivere il più possibile secondo i principi della non-violenza, secondo le loro possibilità: devono infatti sostentarsi e lavorare come tutti i comuni mortali. Documentandomi nei vari siti ed in alcuni testi jainisti ho appreso che quasi tutti i fedeli fanno lavori che non comportano lo sfruttamento di alcun essere vivente: la maggior parte di essi svolge il mestiere di intagliatori di pietre, giacché il mondo minerale è considerato privo di vita.
Come possiamo notare ci sono alcune importanti attinenze con il veganesimo che oggi viene propagandato, eppure è sufficiente un po’ di informazione in più per fare il giochino Trova Le Differenze tra i due: internet va bene, ma la carta in questo è ancora imbattibile, esistono molti testi seri di approfondimento delle religioni orientali. Quindi spiacenti, la laurea in youtubologia non basta per dichiararsi esperti.
“Non aggredire nessuno, non fomentare l’aggressività verso nessuno, tentare sempre di portare pace e amicizia
Non prendere parte ad agitazioni violente o distruttive
Credere nell’unità umana, non discriminare alcun essere umano sulla base di casta, colore, setta, o altro, né trattare alcuno come intoccabile”
Queste sono alcune tra le undici regole stilate nel settembre 2014, in un convegno di jainisti a Nuova Delhi, convegno in cui si è cercato ancora una volta di conciliare il percorso giainista con l’epoca odierna.
Se vi chiedo di trovare le differenze con quella parte del mondo vegano (non tutta, quindi, è doveroso dirlo) che augura morte imminente a chiunque non la pensi come loro, che organizza azioni di disturbo e talvolta di distruzione, che si considera superiore tanto da ritenere che i soli meritevoli di vivere siano i suoi appartenenti mentre gli altri possono anche crepare in pace, pensate di riuscire nell’impresa?
Come?
Mi piace vincere facile? (ditemi che lo sentite anche voi il jingle mentre leggete questa frase, vi prego!)
Ok, ok, proviamo con qualcosa di più forte.
“Compito delle creature viventi è servirsi l’un l’altra” (Tattvarth Sutra)
Ahimsa (Nonviolenza) è il principio che i Jain insegnano e praticano non solo nei confronti degli esseri umani ma anche degli animali e della natura. La Nonviolenza jainista è positiva e attiva, e postula la costante vigilanza nel non nuocere in alcun modo ai propri simili, agli animali, alle piante, agli elementi.
“Vigilanza costante, ragazzi!” Lo dice anche Malocchio Moody in Harry Potter.
Non-violenza, ficcatevelo bene in testa, non-violenza! Quella stessa non-violenza che influenzò moltissimo quel grand’uomo di Gandhi.
Non violenza non significa solo rispettare le regole del giainismo, ma anche non nuocere ai tuoi fratelli umani: avete mai visto un jainista attaccare con male parole un onnivoro o addirittura augurargli la morte? No, e sì che in India i templi Jaina sono numerosi ed anche i monaci che fanno da guida ai turisti, credo la maggior parte di essi onnivori, sono parecchi: ebbene, nessuno di essi ha insultato lo stile di vita altrui, perché la non-violenza implica anche il rispetto di chi non la pensa come te. Al massimo puoi cercare di indottrinarlo il meglio possibile, per condurlo ad una presa di coscienza che lo porti a modificare quelle abitudini che possono nuocere al mondo, così da alleggerire il tuo ed il suo di karma.
Ricordiamoci che la non-violenza ha il non-agire alla base: sputare veleno sui social network, attaccare laboratori di ricerca scientifica, è quanto di più lontano dal non-agire ci possa essere. Cari vegani, non so come dirvelo, ma il vostro karma è veramente messo male.
“Vivi e lascia vivere, ama tutti, servi tutti!”
È il supremo comandamento jainista.
Credo che ormai sia facile trovare le differenze con il vegano perennemente incavolato.
Un’ultima considerazione sul jainismo e sulla sua lettura erronea che l’Occidente ha fatto di esso. Osservate il suo simbolo.
Vi ricorda nulla?
Diventata simbolo di uno dei più atroci periodi della storia mondiale, il suo significato originario sta all’esatto opposto dell’orrore che venne perpetrato dal nazismo. La svastica, che in sanscrito significa salute/prosperità, nel giainismo simboleggia il ciclo continuo ed eterno delle rinascite, tramite i quattro raggi che procedono in senso orario. I tre punti rappresentano la Via della Liberazione: Retta Fede, Retta Conoscenza, Retta Condotta. La luna rappresenta il luogo dove risiedono le Anime liberate.
L’uso di un simbolo di pace e non-violenza come segno distintivo di un regime che fece dello sterminio una pratica usuale personalmente la considero una mossa a dir poco pessima e blasfema.
Tra serio e faceto, ecco in cosa consiste il vero veganesimo, che fa della coerenza e soprattutto della non-violenza la propria bandiera.
Tutto il resto, propagandato con dati falsi e/o manipolati ad hoc, urlato con insulti e minacce al prossimo, proclamato con mezzi non coerenti con la pratica, insomma appartenente a quella frangia estremista che si crede l’unica meritevole di qualsiasi cosa, tutto il resto è noia.
E no, non ho detto gioia.
(*) Si informano i gentili lettori che l’autrice non ha nulla contro i simpatizzanti della causa plutoniana. Anch’io ci sono rimasta male al declassamento a pianeta nano, ma questo non significa che esso sia meno importante. Per dirla alla Yoda, non giudichiamo Plutone dalla grandezza.
Argomento interessante. Lo condivido!
Grazie per il tuo interessamento e per la condivisione.